“Non dovete pensare che in Uzbekistan ci siano solo uzbeki, anche se il nome indica quello” spiega l’uomo dai tratti slavi che è salito in metro con noi. “Qui in Asia Centrale siamo tutti mischiati e non solo perché prima dell’avvento dei russi non esistevano né nazioni né divisioni etniche, ma anche perché con l’Unione Sovietica ci siamo mescolati tutti. Soprattutto qui, in una città enorme come Tashkent dove ci sono tanti migranti economici e non.”
In effetti, non solo in questo viaggio ma nella mia vita in generale, ho conosciuto: kazaki kazaki, kazaki russi, kazaki ucraini, kirghisi nomadi, kirghisi di città, kirghisi russi, kirghisi uiguri, kirghisi circassi, uzbeki uzbeki, uzbeki karakalpaki, uzbeki russi, uzbeki tajiki, tajiki afghani, uzbeki afghani (gli ultimi due in Italia!). Il mio ex era ucraino-uzbeko, una mia studentessa è lettone-georgiana-ucraina ed è forse meglio che mi fermi.
Ciao, sono Alessandra! Sono a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan.Viaggio spesso da sola in Asia, altre volte con la compagnia della mia amica Alessia.
Di recente ho esplorato l’Asia Centrale come donna che viaggia indipendentemente, e nelle mie Lettere ti racconto questa esperienza. Iscriviti per scoprire i miei racconti e ritagliarti un momento di calma in questo mondo frenetico.
Capitale dell’Uzbekistan, ex capitale del Turkestan zarista, la metropoli più grande dell’Asia Centrale, Tashkent è una città indecifrabile in pochi giorni. Di attrazioni turistiche ce ne sono poche: c’è il complesso islamico di Hazrati Imam (Hastimom) con le sue moschee, la madrasa e la biblioteca dagli ampi spazi e le cupole turchesi; ci sono i bazaar tra cui quello centrale, il Bazaar Chorsu, dove si trovano spezie, zuccherini (tary), frutta, abiti di seta, abiti in cotone, abiti in tessuti artificiali made in China e made in Turkey; ma anche forni davanti ai quali uomini con i zucchetti in testa impastano e infornano le ruote di non, il pane, mentre ti fanno proposte di matrimonio. C’è la torre della televisione con un ristorante chic in cima e l’affollatissimo “Centro del Plov” (Zentr Plova) ai piedi. Vi si può mangiare solo plov, appunto, in tutte le sue varianti e all’ingresso si può assistere alla preparazione con gli enormi calderoni, i kazan, riscaldati a legna, che si dividono i compiti: in uno si cuoce il riso, in un altro le verdure ballano in un profondo strato di grasso di pecora, in un altro ancora la carne si rotola nel suo stesso unto. Il risultato è grasso, pesante e delizioso. Assaggiare quanti più tipi di plov possibile è parte integrante nel paese delle cupole turchesi.
I musei di Tashkent
A Tashkent ci sono anche vari musei, tutti di nuova costruzione: quello d’arte, quello di storia e il terrificante museo della Storia dei Timuridi, la dinastia di Tamerlano. A parte l’albero genealogico del grande condottiero e i recentissimi e falsissimi ritratti della sua schiatta, vi si trovano solo libri di fotografia pubblicati negli ultimi dieci anni, modellini degli edifici più famosi costruiti dai Timuridi nel corso dei secoli, come il Taj Mahal, e souvenir dal mondo, tra cui un opuscolo turistico sulla Germania e una maschera veneziana di quelle che vendono i bangladesi in piazza San Marco per pochi euro. Sul serio, e il tutto è conservato gelosamente in teche di vetro sorvegliate da telecamere. Una pacchianata per dare un po’ di senso turistico a una capitale enorme.
Al contrario, vale la pena visitare il complesso di Hazrati Imam, citato prima. Le sue origini risalgono al XVI secolo ed è situato nel distretto di Olmazor. Ospita la madrasa – la scuola coranica – Moʻyi Muborak, il mausoleo di Qaffol Shoshi, la madrasa Baroqxon, le moschee Hazrati Imam e Tillashayx, oltre all'Istituto Islamico Imam al-Bukhari. Sorge accanto alla tomba di Hazrati Imam, primo imam-khatib di Tashkent, studioso, poeta e artista. Era famoso per la sua abilità nella fabbricazione di serrature, da cui il soprannome “Qaffol”, fabbro. Si dice anche che parlasse 72 lingue e avesse tradotto la Torah in arabo. Situato nella Città Vecchia" non lontano dal Bazaar Chorsu, il complesso ha resistito al terremoto del 1966. Oggi è un importante centro religioso e culturale e attira fedeli da tutto il mondo.
Manie presidenziali e culti della personalità
Sotto la presidenza di Islom Karimov, che ha cercato di eliminare ogni ricordo dell’occupazione sovietica, Tashkent è stata trasformata del tutto. Infatti, a differenza di Bishkek e Almaty, qui non si trova quasi più nessun cimelio comunista. Nessuna stella rossa, nessuna falce e martello né una statua di Lenin. Anzi, oggi non si trovano neanche più monumenti a Karimov stesso che ha governato in modo brutale dal 1991 fino alla sua morte nel 2016. In quegli anni l’Uzbekistan divenne uno stato di polizia e il regime era pari a quello del Turkmenistan e della Corea del Nord. Il nuovo presidente, Mirziyoyev, seguendo la scia del suo predecessore, ha passato un colpo di spugna sugli ultimi secoli della storia uzbeka per fare un restyling Timuride al Paese e buttarsi nell’avventura del turismo di massa. Stranieri, venite!
Solo con lui si è posto fine al culto della personalità di Karimov e l’Uzbekistan si è aperto all’estero. La storia della nazione adesso è attorcigliata alla figura di Tamerlano e nessun altro, fatta eccezione solo per lo scrittore Navoi che, pare, nei suoi lavori nominasse gli uzbeki solo per disprezzarli. Duemilacinquecento anni di storia sono stati cancellati per ricostruirne una che venera la prodezza e l’ingegno di Tamerlano in nome dell’orgoglio nazionalista e del flusso di valuta straniera che portano i visitatori. Un clamoroso esempio ne sono le disneyane Samarcanda e Bukhara, le Perle della Via della Seta.
La statua con la storia più lunga al mondo
A Tashkent, la vecchia piazza Rivoluzione è ora chiamata piazza Amir Timur, ovvero principe Tamerlano ed è lui a essere raffigurato in bronzo tra gli alberi e gli alti palazzi costruiti dai sovietici. Il suo piedistallo è forse quello che ha ospitato più personaggi nella storia mondiale dei piedistalli. Quando i russi zaristi arrivarono in Asia Centrale nel 1867, quella che oggi è piazza Amir Timur era un parco all’intersezione tra via Mosca e via Kaufmann. Kostantin Petrovich Kaufmann fu il primo governatore del Turkestan Russo. Nel 1882, il suo successore trasformò il parco in una piazza ed eresse la statua di colui che aveva conquistato l’Asia Centrale.
Con l’avvento dei Bolscevichi lo spazio fu rinominato Piazza Rivoluzione e la scultura zarista venne demolita per far posto a Lenin, seguendo la moda in voga in tutte le città dell’URSS. Alla fine degli anni Quaranta fu eretta una rappresentazione del megalomane Stalin che resistette fino al ’61, quando tutte le statue di Baffone vennero rimosse dalle Repubbliche Sovietiche. Qui a Tashkent si installò un più mite Karl Marx, almeno fino alla caduta dell’Impero, quando la piazza venne rinominata Amir Timur e messa sotto il controllo di un giovane Tamerlano a cavallo.
Ripulire la storia e creare un mito
Tamerlano, Timur-i lang, Timur lo zoppo, così chiamato per una caduta da cavallo che gli fratturò l’anca da giovane, nacque nel 1336 in una tribù turcofona nell’Uzbekistan meridionale più di un secolo dopo la morte di Gengis Khan e di quest’ultimo sognava di ripristinare l’impero fratturato tra i vari discendenti del condottiero mongolo, poi sgretolato dalla peste nera. Tamerlano, mostro sanguinario che mise a ferro e fuoco mezzo mondo, sottomise i popoli dall’India al Caucaso. Sterminava città intere e dava fuoco alle moschee con chi vi si era riparato all’interno. In alcune città ordinava ai suoi soldati di innalzare dei “minareti” con i teschi delle vittime. Tuttavia, costruì anche bellissime città sulla Via della Seta rapendo artigiani, lavoratori e architetti dalle zone conquistate e le fece diventare dei poli di conoscenza richiamando sapienti da tutto il mondo. Basti pensare alla favolosa Samarcanda, una città centrata sulla sua figura e sulle leggende che lo avvolgono tutt’oggi.
Tashkent: la Milano dalle macchine monocromatiche
Tashkent è una città moderna, dove la gente corre indaffarata per i vialoni trafficati e nella metropolitana, tutti dediti al lavoro, al guadagno. Potremmo essere a Milano o a New York, ma la gente ha i tratti orientali e qualcuna lo chador. Se non fosse per il brutalissimo Hotel Uzbekistan, si potrebbe pensare che l’URSS non sia mai arrivata fin qui. L’albergo, che ospitò anche Terzani nel 1991, è un monolite di calcestruzzo con le finestre incassate, una ragnatela squadrata che svetta verso il cielo. I nostalgici interni sono piuttosto scialbi, ma dal bar al diciassettesimo piano si può ammirare la metropoli immersa nella sua nebbiolina di smog. Da lì, quando ero solo una bimba di pochi mesi dall’altra parte del super continente, Tiziano Terzani osservava la rovina dell’impero sovietico. Oggi, i divanetti retrò sono oggetto di scherno dei gruppi organizzati di italiani che invadono quel tempio sovietico con il chiacchiericcio e la confusione propria di noi penisolani. “Ah, anche voi siete italiane? E con quale agenzia siete qui?”
Ordino una birra in russo, per lasciare ad Alessia l’oneroso compito di rispondere alle sciocche solite domande “Ah, ma siete sole? E non avete paura?”
Oltre le vetrate, mentre sorseggio la mia bibita nascondendo il viso sfacciatamente mediterraneo, osservo Tashkent: piatta, affollata, trafficata, macchine bianche o nere e di nessun altro colore scorrono tra i vialoni che lambiscono gli edifici grigi. Non è bella, ma è da vedere per capire un po’ meglio la storia contemporanea.
“Perché la macchine sono quasi tutte bianche?”
“Per il caldo” mi spiega un tassista.
“E quelle nere?”
“Moda.”
Sarà.
Oltre all’Hotel Uzbekistan, la metropolitana è la sola opera sovietica ad essere ancora lì: ogni stazione è diversa, con i marmi che raffigurano gli astronauti, orgoglio dell’URSS, o con i motivi geometrici, altre con scene della tradizione uzbeka, tutte però in marmi blu, azzurro, giallo, bianco e i grandi lampadari che scendono a illuminare l’umanità sulle banchine. Come ogni metropoli che si rispetti, c’è gente di tutti i tipi: donne in abitini succinti dai colori pastello, altre con la testa coperta, ragazze con i capelli colorati e i jeans larghi, uomini impettiti nei completi da ufficio o ciondolanti e con il zucchetto in testa. La maggior parte ha i tratti mongoli, ma non sono rari i lineamenti affilati e i visi pallidi degli slavi. Poi ci siamo noi, appesantite dal plov e dagli zainoni, che ci guardiamo intorno per assaporare ogni dettaglio di quel mondo lontano ma neanche così tanto.
L’Uzbekistan, come la Cina, è un mondo dove il passato è stato obliato dai doveri pratici e il futuro ha il sapore di una storia mitica, ai limiti del fantastico, il tutto amalgamato dal culto delle personalità che si susseguono a seconda del momento e del gusto di chi è al potere.
Nel video: le verdure nel grasso di pecora per preparare il plov al Zentr Plova
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Chissà come sarebbero questi posti se non fossero arrivati i sovietici… 🤔 che corso avrebbe preso la loro storia? Quello del vivere le loro differenze in pace o farsi sempre e comunque una qualche guerra?
Si si sulle macchine nere lo dissero pure a noi. Quelli che hanno fatto i soldi se le fanno nere perché indice di lusso!!! 😂