“Isvinitie, scusi. E l’aria condizionata?”
“Non c’è.”
Può apparire una pretesa, un vizio da occidentali in vacanza, ma diventa una necessità quando si attraversa un deserto d’estate con più di quaranta gradi che riscaldano un ferrovecchio cigolante su rotaie.
Dalla lontana Nukus – lontana da tutto, intendo – capitale della Regione Autonoma del Karakalpakstan in Uzbekistan, al confine con il Turkmenistan a Sud e la parte sud-occidentale dell’enorme paese delle steppe altrimenti conosciuto come Kazakhstan, dobbiamo arrivare ad Aktau, sulle sponde del Mar Caspio. La prima parte del viaggio, da Nukus alla sconosciuta Beyneu, dura 14 ore di cui due ferme alla dogana uzbeka; in seguito, arrivate a Beyneu, aspettiamo un’altra ora e mezza per i controlli prima di poter scendere. Il tutto in un clima da forno.
Ciao, sono Alessandra! Eccomi sulle sponde del Mar Caspio dopo settimane di foreste e ghiacciai, steppe e metropoli, deserto e tanta storia. Viaggio spesso da sola in Asia, altre volte con la compagnia della mia amica Alessia.
Di recente ho esplorato l’Asia Centrale come donna che viaggia indipendentemente, e nelle mie Lettere ti racconto questa esperienza. Iscriviti per scoprire i miei racconti e ritagliarti un momento di calma in questo mondo frenetico.
Viaggiare in treno in Uzbekistan è diverso
Il viaggio intero è stato un po’ una barzelletta, con il capo-vagone invaghito di me, una valanga di meloni da rivendere oltre confine sistemati nel nostro scompartimento dal personale di viaggio, e una fila infinita di donne che proponevano i loro prodotti cantilenando. Erano tante, troppe, e hanno fatto avanti e indietro sciorinando le loro merci per circa dieci ore. Ravioloni, ruote di pane, bibite gassate, frutta, noodles, persino giocattoli. Dopo qualche ora non era più possibile sopportarle e chiudere la porta dello scompartimento era fuori questione o saremmo soffocate.
Prima di partire, ignare di tutto, avevamo prenotato un biglietto di terza classe per quella tratta, tanto per provare l’ebbrezza, ma il mio amico kazako Sultan, con la sua faccia espressiva, aveva sbarrato gli occhi e aperto la bocca dicendo: “Voi siete pazze! Non sapete cosa significa stare ore in un vagone senza aria condizionata! Sarete nel deserto, insomma! Volete arrostirvi?”
E così, con un piccolo sovrapprezzo messo direttamente in mano al capo-vagone innamorato ma non al punto da farci uno sconto, abbiamo cambiato classe, invano. Aria condizionata non pervenuta. Bene. Ci tocca sopportare il calore e le cantilene delle venditrici. In una prossima vita nasceremo monaci zen come merito per la pazienza avuta in questo viaggio. Tuttavia, siamo in una delle regioni più insolite ma più stimolanti del mondo, anche questo fa parte dell’esperienza e lamentarsi più di tanto è da sciocche, conveniamo.
Tante ore più tardi, arriviamo a Beyneu, in Kazakhstan, dopo il tramonto. La stazione sembra un bazaar, con la gente piena di pacchi che attraversa i binari senza sicurezza alcuna. Anzi, un uomo si siede con sicumera sulla ferrovia e si accende una sigaretta mentre gioca con il cellulare. Sembra che tutti siano impegnati a comprare e a vendere sotto le loro pile traballanti di oggetti.
Io e Alessia facciamo a turno per tenere gli zaini mentre l’altra va a rinfrescarsi. Nei racconti si menzionano le bellezze e le disavventure di ogni viaggio, ma non si parla mai delle donne viaggiatrici che si ritrovano in situazioni scomode e forse anche non molto igieniche con le mestruazioni, con il caldo che ti ammazza, la pressione bassa e i bagni di certi treni. Eppure, esiste anche questo, sebbene parlarne sembri essere ancora un tabù.
Ripuliteci in qualche modo, ripartiamo con un treno notturno per percorrere gli ultimi 450 km in 9 ore fino alla città costiera di Aktau, da dove avremmo voluto prendere una nave cargo per attraversare il Mar Caspio e approdare sulle sponde azere. Purtroppo l’Azerbaijan ha ancora i confini terracquei chiusi con la scusa del covid, anche dopo quattro anni.1 Siamo costrette ad accontentarci di un banalissimo aereo. Nel 2022 avevamo già provato ad entrare in Azerbaijan dalla Georgia, ma ci avevano respinte per lo stesso motivo.
Aktau: la città petrolifera senza vie
I due giorni trascorsi ad Aktau sembrano un sogno al contempo rinfrescante e distopico, uno di quelli dove non c’è logica. Dopo settimane di deserto è bellissimo rivedere il mare, inspirare l’odore delle alghe e sentire l’umidità della pelle. Non riusciamo a credere a tutto il blu che ci circonda, all’azzurro del cielo, al bianco candido delle nuvole e al suono del mare. Adoro viaggiare scomoda perché poi la vita assume un sapore tutto nuovo e le piccole cose rendono felici, come mangiare pesce su una terrazza in riva al mare bevendo una birra gelata. Niente di chic, solo… fresco. Quando mai si riesce ad apprezzare la brezza e l’umidità se non dopo il deserto? Quando mai ci si gode la doccia come se fosse la prima della propria vita se non dopo ventisette ore in un treno affollato e caldissimo?
Anche se a noi sembra un paradiso, la verità è che Aktau è un’orribile città costiera costruita dal nulla lo scorso secolo dai sovietici. È tutta palazzoni a blocchi e grandi viali, una delle tante insomma. Negli ultimi anni stanno innalzando altri condomini moderni e il lungo mare è costellato da sushi bar e localini con terrazza.
Il suo nome, che si blocca sotto il palato con quella k gutturale e l’esplosiva t, significa in realtà “roccia bianca” e infatti la riva, percorribile su un percorso di legno, è una frastagliata costa candida. Qui ci sono importanti aziende di gas e petrolifere e, a parte bagnarci i piedi nelle gelide acque del Mar Caspio e bere una birra osservando l’orizzonte, non c’è molto altro da fare. Sì, forse vale la pena passeggiare sul lungo mare all’ombra di palme di plastica installate per dare un tocco esotico. L’Asia e le sue assurdità!
Una particolarità di questa città kazaka è che le vie non hanno un nome: è divisa in microdistretti numerati e su ogni palazzone campeggia un numero così grande da poter essere visto da lontano. Quindi l’indirizzo risulta essere “microdistretto X, compound X, palazzo X”, cosa che dà un aria di inumanità a una città che si impegna ad accogliere sempre più turisti centrasiatici e investitori russi, con i suoi progetti di splendidi palazzi di vetro sulla costa dalle rocce bianche, quasi una sfida alla ricca, sfolgorante, glamour capitale azera. dall’altra parte del Caspio. Ed è lì, a Baku, che stiamo andando.
A febbraio 2025, quando è stata pubblicata questa lettera, la situazione è ancora la stessa. https://www.mfa.gov.az/en/category/entry-rules-to-the-republic-of-azerbaijan-during-covid-19-pandemic
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Che lingua si parla ad Aktau?