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Figlia dei ‘90, il nome “Kosovo” richiamava solo parole negative: guerra, fame, migrazioni, miseria. Non ho un ricordo ben chiaro di ciò che succedeva, ma forse da qualche parte nella memoria mi sono rimaste impresse le immagini della televisione e i discorsi degli adulti.
Cosa ci sarà mai da vedere in Kosovo? Ha senso andarci? Beh, siamo in Macedonia del Nord e vogliamo visitare la Serbia, perché non trascorrere qualche giorno in quel fazzoletto di terra musulmano nel bel mezzo dell’Europa? Quella regione ribelle che evoca disastri e calamità? Dopo aver a lungo ponderato se fosse una buona idea o meno, abbiamo deciso di provarci.
Il biglietto del bus da Skopje costava solo 10 euro e il viaggio durava poche ore. Sarebbe stato un peccato non andarci. Avevamo sentito dire che è meglio entrare e uscire dal Kosovo attraverso lo stesso paese – nel nostro caso la Macedonia del Nord – per evitare problemi con la polizia serba, che non riconosce questa regione. Entrarvi dalla Macedonia o dal Montenegro e provare a uscirne in Serbia equivale a essere entrati in territorio serbo senza permesso. Insomma, da Ohrid saremmo dovute ritornare nella magnificamente polverosa Skopje, prendere un bus per Pristina e poi tornare indietro prima di partire per Belgrado.
Un po’ scomodo ma non impossibile.
Ci siamo recate per l’ennesima volta alla fatiscente stazione dei bus di Skopje dove un’addetta con un perfetto italiano ci ha venduto i biglietti. Davanti al van eravamo in 6, oltre l’autista: due italiane, due francesi e due macedoni. I macedoni e i kosovari non avevano bisogno della vaccinazione covid-19 (era ancora il 2022), ma gli stranieri sì. All’epoca ne ero ancora sprovvista. Quanto l’autista ci ha chiesto una certificazione sanitaria o il risultato negativo di un tampone e io ho risposto “non ho nulla”, mi ha guardato contrito, più dispiaciuto di quanto non fossi io: per me l’alternativa sarebbe stata andare a fare un tampone e ripartire il giorno seguente. Tuttavia, con la tenacia balcanica, il simpatico guidatore non si è perso d’animo: “ma sì, proviamo!”. Ci aveva prese in simpatia solo per la nostra nazionalità e ha passato il viaggio ad elogiare il Belpaese e soprattutto a parlare di calcio.
Pare che il calcio italiano valga quanto un documento da queste parti, perché anche il doganiere kosovaro, dopo aver ben controllato che le francesi avessero il green pass, chiacchierando del Milan e della Juve ha a stento aperto i nostri passaporti e ha completamente ignorato le documentazioni riguardo il covid.
Sono riuscita a passare.
Siamo in Kosovo.
Se avevamo immaginato strade scassate e rovine ancora fumanti dall’antico conflitto, abbiamo dovuto ricrederci in fretta. Una bella autostrada sopraelevata – finanziata forse dall’Unione Europea – si snodava liscia tra i promontori ammantati di verde, senza neanche una buca. Di solito prima di un viaggio mi informo sulla geografia e la storia del luogo, leggo le ultime notizie, ma preferisco non guardare foto o video di altri viaggiatori odierni. Voglio la sorpresa. E sorpresa è ciò che abbiamo avuto in questo piccolo paese montuoso nel cuore della penisola balcanica.
Pristina è una città che sta rinascendo senza un senso urbanistico. Dopo esser stata rasa al suolo durante la guerra, ora cresce disarmonicamente. Sorgono ovunque palazzi di vetro e grattacieli, di fianco alle poche, vecchie case senza gusto rimaste da prima. È difficile trovare un punto di riferimento tra i cantieri e i palazzi scintillanti, che cozzano con i vecchi bus scassati, i bidoni della spazzatura traboccanti e i cavi elettrici che pendono da un lato e l’altro della strada. I semafori esibiscono un bel “semaforeria Padova” e passano gazzelle dei carabinieri italiani. Qua a là, molto, molto sporadicamente, spuntano una chiesa o una moschea. Di sicuro l’elemento più disturbante è l’enorme biblioteca universitaria, un complesso grigio rivestito da una sorta di grata e sormontato da cupole. Difficile dire cosa l’architetto avesse voluto rappresentare, ma rimane uno dei punti di riferimento della città, la rinascita della cultura e il diritto allo studio.
L’Occidente in Kosovo è adorato, sia grazie agli aiuti americani ricevuti durante la guerra che per il benessere che hanno portato i compaesani emigrati. America, Italia, Germania, Paesi Scandinavi hanno un posto d’onore nel cuore dei kosovari.
Davanti alla cattedrale si estende via George Bush e su Boulevard Bill Clinton sono stati installati una statua e una gigantografia del volto dell’omonimo presidente. Proporzionalmente i serbi odiano gli Stati Uniti per averli bombardati in difesa del Kosovo. Confini sottili, difficili, ancora sanguinanti. Ogni tanto scoppia ancora qualche disordine lungo le linee di frontiera.
La sera il centro di Pristina si popola di locali chiccosi e di giovani in tiro. Tacchi, trucco, completi eleganti, vestitini, unghie curate e ciuffi ricoperti di gel. Per le strade si spostano macchine di lusso con targhe italiane e tedesche e tutti parlano le lingue europee. Tantissimi sono gli italiani di seconda generazione, che ci offrono colazioni o drink perché è insolito vedere delle turiste della nostra penisola in Kosovo.
Nonostante lo splendore superficiale di questo paese che esplode economicamente in sordina grazie ai capitali investiti dalla diaspora, ci sono alcune cose alle quali siamo abituati che mancano. Non si può mai pagare con la carta di credito, le sim-card straniere non funzionano: abbiamo provato quelle italiane, quelle macedoni e persino una ucraina. Zero campo. I bancomat erogano solo euro pur non facendo parte dell’eurozona perché il Kosovo non ha una propria moneta, peccato che solo una su cinque delle nostre carte funzionasse (e meno male, perché stavamo per rimanere senza soldi per il bus del ritorno).
Nonostante il Kosovo nell'immaginario collettivo evochi paura, guerra e pericolo, ci siamo sentite molto sicure, bene accolte; è pieno di gente simpatica che ammira l’Italia o che, semplicemente, è italiana.
Opposta al disordine di Pristina, sorge l’antica Prizren, un gioiello ottomano ancora intatto. La via che si snoda tra le due città, anche questa perfetta e scorrevole, esibisce la ricchezza ritrovata con ville che ostentano benessere, centri per cerimonie e vaste discoteche kitsch.
Prizren è una cittadina storica, che non è stata molto toccata dalla guerra e il lascito islamico è ancora importante. Si contano svariate decine di moschee contro un paio di chiese. Se ci si lascia alle spalle il bailamme della città nuova e la via dei negozi dei vestiti da sposa – luccicanti, vistosi, di gusto volgare – e si passa sul fiume, ci si ritrova in una città di pietra, antichissima, abbarbicata su una collina sormontata da una fortezza, oltre alla quale si innalzano i Balcani ricoperti di foreste. Qui siamo in pieno Impero Ottomano, con i vicoli di acciottolato, i caffè turchi dai tavolini bassi con gli uomini che vi trascorrono ore e ore a sorseggiare caffè o chai osservando i passanti, specie le donne straniere con gli arti scoperti.
Da entrambi i lati del Ponte di Pietra spiccano due moschee e dall'alto della fortezza ottomana si possono persino contare. Noi siamo salite fin lì sotto il sole cocente di luglio per ammirare la città di pietra abbracciata dai monti e in quel momento tutti minareti hanno iniziato a cantare, ognuno con una voce diversa, un po' scompagnati, riecheggiando con dolcezza tra le montagne. Il tempo si è fermato insieme a tutto il resto, tranne le voci che pareva ricoprissero la città come un tulle.
In uno stesso Paese non possono esserci mondi più diversi come Pristina e Prizren: l’una ricca, matta, con i moderni palazzi di vetro e i giovani ben vestiti che riempiono i locali da cocktail; l'altra piccola, pacifica, di pietra e acciottolato immersa nella natura, nella quale la vita si concentra ancora nei caffè ereditati dal Gran Sultano, avvolti nella spiritualità.
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Che posto spettacolare il Kosovo. Devo tornarci per vedere il monastero e fare hiking. Quella volta abbiamo fatto il giro dei Balcani quindi non ci siamo soffermate troppo ma davvero sarebbe da esplorare più attentamente come hai fatto tu.
Che bei ricordi che hai risvegliato ♥️ Ho ancora nelle orecchie il suono della chiamata alla preghiera delle moschee di Prizren dalla collina in cima alla città!
Io sono arrivata dal nord dell'Albania, quindi ho visto prima Prizren, poi Gjakova e il monastero di Decani (un posto assurdo e meraviglioso, te lo consiglio se ritorni in Kosovo), Peja e Prishtina.
Vedere la capitale per ultima mi ha dato un senso di speranza, nonostante i drammi della storia recente... anche a me hanno colpito molto i giovani (sono davvero tantissimi e dappertutto) e la vita notturna!