È quasi la metà di agosto, chissà se sei in vacanza. Io sono tornata da pochi giorni dal viaggio in Asia Centrale. Finalmente, direbbe qualcuno.
Ci sarei rimasta più a lungo volentieri, in particolare a Baku che ho amato, ma non avevo portato il PC con me e, ora, tocca lavorare. Che brutta parola, lavorare, lasciamelo dire.
Mentre tutti sono in vacanza, io e il ritrovato computer – quasi un’estensione di me stessa – ci rifugiamo dall’afa veneziana nella Biblioteca Querini Stampalia in Campo Santa Maria Formosa.
Ciao, sono Alessandra. Viaggio a tempo pieno e scrivo di viaggi lenti. Iscriviti gratuitamente per goderti i miei post da leggere con calma, prendendosi del tempo per se stessi in questo mondo frenetico.
Il primo risveglio a Venezia, dopo aver aperto gli occhi nei luoghi più svariati, e ritrovandomi all’improvviso senza la mia compagna di viaggio, è stato alquanto deprimente e solo il fatto di poter aprire la porta e di ritrovami nella secolare bellezza lagunare mi ha tolto di dosso, pian piano, la malinconia della fine del viaggio. Un viaggio in cui mi crogiolavo nella mia bolla atemporale fatta di esperienze post-sovietiche, studio e scrittura. La vita ideale.
Almeno, con una breve passeggiata ho la fortuna di poter lavorare in un palazzo nobile del Cinquecento, con il parquet che scricchiola sotto i piedi come nelle case-museo (in effetti, qui c’è anche quella), cosa che attira l’attenzione altrui e ogni volta che ci si alza ci si sente osservati. Attorno a me, sopra agli scaffali di tomi novecenteschi che spaziano dalla psichiatria infantile alle costruzioni antisismiche, fanno sfoggio di sé i quadri secenteschi con i loro chiaroscuri, strano contrasto con le pareti crepate.
Un’altra lunga crepa divide gli stucchi sul soffitto, mentre in un angolo la muratura grigia è stata messa a nudo da chissà quale danno e mai più restaurata. Anche la massiccia sedia in noce sulla quale sono seduta scricchiola, eppure sui pesanti tavoli ottocenteschi ci sono prese elettriche e gente china sui computer. L’odore di carta ingiallita permea l’atmosfera, ma il ronzio del lettore della tessera mi ricorda che non siamo più ai tempi della Serenissima.
Questa sorta di viaggio nel tempo – perché essere a Venezia è come trovarsi nel punto in cui le epoche si incrociano, semmai una cosa del genere fosse possibile – allevia la nostalgia della polvere dell’Asia, dei lunghi viaggi in treno, dei tassisti impiccioni, sì, anche di loro. Nostalgia delle foreste, delle vette incappucciate, dei deserti e delle steppe, delle supersoniche città petrolifere.
La nostalgia di un sogno che si è avverato e quindi non si può più sognare.
Mi mancano le ore trascorse a studiare e a prendere appunti (lasciate che digerisca le impressioni e lo scombussolamento dell’Asia Centrale prima di poter partorire delle nuove Lettere dall’Oriente).
Dopo un viaggio così intenso è anche bello tornare, rimettere in ordine le emozioni, metabolizzare i visi conosciuti e le storie ascoltate, sfogliare il quaderno e iniziare a pensare a come poter esporre in modo piacevole le parole che mi formicolano nelle dita. Inizia ora, per lo scrittore, il secondo viaggio, quello quasi più vero e più importante, quello che cesellerà per sempre un pezzo di vita. Non solo mia, perché il viaggio non comprende mai solo se stessi. In fondo, a volte penso che lo scopo della nostra esistenza sia quello di conoscere l’altro.
Così è come trascorrerò agosto, non in vacanza, ma in un’antica biblioteca di un’antica e unica città, a sfogliare un quaderno pieno di appunti di un oriente lontano nell’odore di carta secolare.
E sono felice.