Ciao, sono Alessandra. Viaggio a tempo pieno e scrivo di viaggi lenti. Iscriviti gratuitamente per goderti i miei post da leggere con calma, prendendosi del tempo per se stessi in questo mondo frenetico.
Quando senti la parola "nomade digitale", cosa ti viene in mente? La libertà assoluta? Il “parto e mollo tutto” abbandonando ciò che è familiare? Spesso sento commenti che dipingono questo stile di vita come egoistico, alcuni lo considerano una fuga dalle responsabilità, altri una separazione definitiva dai legami affettivi. La verità è diversa e varia da persona a persona.
Essere un nomade digitale non significa necessariamente lasciare tutto alle spalle per sempre, come si crede. Come non è passare le giornate al mare a sorseggiare cocktail con il PC in grembo – anche perché così il computer si surriscalda in fretta. Viaggiare non è una fuga dagli affetti o dai doveri, ma un modo di esprimersi, di allargare la propria anima. È un modo per esplorare il mondo senza perdere il legame con ciò che ci è più caro.
È vero che possiamo partire in qualsiasi momento, ma possiamo anche tornare.
Rincaso ogni due o tre mesi. Senza una buona dose di Venezia di tanto in tanto, probabilmente mi prosciugherei, fossi anche davanti alle Sette meraviglie del mondo nello stesso momento.
Mi sembra che esistano due Alessandre e che vivano due vite separate che non si incontrano mai: in una ci siamo io e il mio zaino. Insieme facciamo migliaia di chilometri in bus, parliamo lingue diverse, capitiamo a casa di persone che mangiano con le mani o con le bacchette e ci innaffiano di tè. Quello zainetto a volte comporta un mal di schiena atroce, o forse sono le nottate di spostamenti. Allora andiamo a riposarci in un hotel di medio livello e ci leviamo qualche sfizio. Insieme facciamo foto e scriviamo storie.
Viviamo storie.
Dentro di lui metto i cieli stellati sul deserto del Sahara e balli notturni sull’altopiano tibetano, litigi con i doganieri, grappe al peperoncino, oceani impetuosi e montagne ammantate di verde, barche sul Mekong e meraviglie dai tempi passati. Ci metto lo stress perché non si trova un bancomat o perché l’autobus mi ha portato in un’altra città, ci metto la felicità perché uno sconosciuto che mi dice: ti sei persa? Dai, andiamo a vedere le gazzelle. Ci metto i batticuori dinanzi all’arte umana o a un paesaggio incredibile e i pianti perché mi sento sola o non ritrovo la via. L’ho scelto io, però, e ne vale la pena.
L’altra parte di me è quella che osserva dal finestrino la laguna non appena ci lasciamo Mestre alle spalle, quella che si gode l’essere in un luogo familiare insieme a qualcuno che si conosce bene, benissimo, che è felice di rivederti anche dopo tanto tempo. Quella parte di me che non ha bisogno di controllare Google Maps o “cosa fare a…” perché qui tutto rimane uguale: mi basta camminare nove minuti per andare a salutare il mio amato Canova, sempre lì da secoli, o arrivare al centro yoga per cantare insieme i canti tibetani, gli stessi di quattro anni fa, con le medesime facce amorevoli che si sorprendono ancora una volta a vedermi sbucare all’improvviso, come al mio solito.
Anche ieri sera ci sono andata, ho rivissuto la mia giovinezza, c’erano gli stessi odori, gli stessi suoni e le stesse persone, solo un po’ ingrigite, e ho sentito, dentro di me, forte e chiaro: “questa è casa.”
Annusando il sentore dei glicini che fioriscono ogni anno, senza perdersi un appuntamento, oltre i mattoni delle stesse corti sconte, o quello dei gelsomini che ti perseguita sulla fondamenta, mi sento intera. Che bello essere tornata.
Poi, ci sono momenti in cui la vita mi sta stretta, allora recupero lo zaino e parto, senza mai “mollare tutto”. O meglio, senza “mollare tutti”. Perché i “miei tutti” sono la cosa che conta davvero.
Non sono grata perché posso viaggiare con facilità, sono grata perché posso tornare a casa.
A presto,
Alessandra
Ciao! Grazie per aver condiviso questa parte di te, io non viaggio a tempo pieno (ufffff) però capisco benissimo la sensazione di tornare a casa (per me è il paesino umbro da cui sono partita a 19 anni) sentendosi così cambiati e stupirsi di trovare tutto immobile e immutato, ma rassicurante. Bellissimo pezzo!
In generale le persone quando pensano a nomade digitale pensano a qualcuno che non lavora e che non ha voglia di lavorare, non avendo la minima idea di cosa comporti essere nomaade. Il fatto che nulla cambi a casa è una bella certezza ma è anche qualcosa che mi intristisce.