Non so vendere. E non è mica una qualità, specie nell’era della digitalizzazione e del capitalismo. Non so parlarti del mio libro, né dal vivo né sui social media. Tra i due, non so cosa sia peggio, so solo che ogni volta che devo farlo vorrei scomparire.
Ci credi che alcuni dei miei amici non sanno che ho scritto dei libri? E quando lo scoprono, cerco sempre di dirottare la conversazione.
Ciao, questa è Itineris Lente, lo spin off di Lettere dall’Oriente in cui ti racconto i retroscena della mia vita da viaggiatrice, scrittrice e freelance.
In questa foto sorrido, ma in realtà vorrei solo morire.
Posso scommettere tutto quello che ho, che qui siamo in parecchi ad amare la parola scritta, l’arte della creazione, che abbiamo miriadi di trame che si accalcano nel cervello sperando di uscire attraverso le dita.
Scriviamo storie accattivanti, giochiamo con le assonanze, torturiamo personaggi, confidiamo nel fatto che l’IA non possa rubarci il lavoro finché andiamo in giro con un retino a raccogliere le idee svolazzanti nell’aria come farfalle colorate.
Buttiamo tutto su carta, il file Word come una grande tela, i polpastrelli come pennelli che sono stati immersi in colori diversi, le nostre idee diventano un grande, colorato, bellissimo quadro.
Siamo felici.
A volte penso che narrare storie sia lo scopo che mi ha fatto atterrare in questo mondo. Da quando ero una ragazzina, un giorno senza un po’ di scrittura, senza un’avventura, una storia mi sembrava un giorno perso.
Di romanzi ne ho scritti, finiti e pubblicati.
Ma poi, quei libri vanno venduti.
Invece me ne sto rinchiusa tutto il giorno in biblioteca a narrare storie tra tavoloni di quercia e il sentore di vecchi libri, i gondolieri nel canale sottostante che ogni tanto sbottano con un “Ooè!”, il parquet che scricchiola quando passa qualcuno e tutti ci giriamo a guardare, chissà perché.
Lo scorso fine settimana sono andata al Salone del Libro di Torino. Con tutti questi viaggi, era da tanto che non vedevo i miei editori e ho colto l’occasione per conoscere nuovi colleghi (e per dare fondo ai miei risparmi tra gli stand della fiera, ça va sans dir).
Era il paradiso: camminavo tra milioni di libri immersa nell’odore della carta stampata, potevo sfogliare tutto ciò che volevo, chiacchierare con editori e scrittori. Ho persino incontrato Eleonora Sacco, scrittrice di viaggi nell’ex URSS che adoro.
Una sera – oramai c’erano pochi visitatori, era quasi orario di chiusura – una donna diretta all’uscita indica al compagno una frase stampata sul telo dello stand della mia casa editrice, Arpeggio Libero.
“Ah sì, è dal libro della Marta. Sono dei racconti di una delicatezza unica”, dico con spontaneità. Lo compra, dopo che l’editore le legge qualche passaggio. Ho venduto un libro, non il mio però.
Allo stand c’erano anche alcuni colleghi per un firma copie. Nicola è stato tutto il tempo in piedi a presentare il suo giallo e a chiacchierare con i passanti fino a che non ha venduto ogni singolo volume. Poi ha preso lo zaino ed è tornato a casa. Riusciva a conquistare l’interesse di quasi tutti quelli che si fermavano.
Ma come diavolo fa? Un misto di charme e profonda sicurezza in se stesso e nella sua opera. Io, al contrario, ogni volta che un lettore prendeva in mano uno dei miei libri mi dileguavo, sapendo che i miei editori mi avrebbero chiesto di parlarne. “Vado a fare un giro per gli stand!” “Vado a prendere un caffè, chi lo beve?”
In quei momenti, l’unica cosa che volevo era sotterrarmi. Qualcuno che sfoglia il mio libro? E dovrei anche spiegarglielo? Ma io l’ho scritto, non ne devo mica parlare! Metti poi che gli fa schifo, devo convivere con questo senso di colpa? Se mi nascondo, sono loro, gli editori, a doverlo raccontare e io posso fare finta di niente.
Alla fine di copie ne ho vendute, in qualche modo. Ho scoperto che tacendo sul fatto che ne fossi l’autrice, riuscivo a parlarne appena appena meglio – ma non molto, perché io lo sapevo che le avevo scritte io.
Racconto un attimo la trama e poi taccio. “Se vuole può sfogliarlo. Questo o anche gli altri, ci sono tanti libri qui”, dico per spezzare quell’imbarazzante silenzio mentre il lettore di turno apre il mio romanzo, lo sfoglia, legge di qua e di là e intanto chissà a cosa sta pensando.
Quello a cui penso io è “ti prego, pavimento, apriti in una voragine e fammi scomparire!”
Intanto Nicola, sicuro di sé, chiacchiera, il lettore replica, ridono insieme, si scambiano opinioni. Anna legge con sicurezza passaggi del suo racconto, Marco imprime un timbro personalizzato sulla prima pagina di ogni copia venduta.
“Va bene, lo prendo”, dicono alcuni, sventolando il mio libro. E in quel momento ho l’impulso di nascondermi sotto i banchi dello stand, invece dico “Vuoi una firma? A chi lo dedico?”
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Eh, eh... che dire? Mi è sembrato di vedere me. Io però "ti supero", con un'incapacità in più: non saprei proprio come scriverlo un romanzo 😂
Ciò nonostante qualche considerazione la possiamo fare, sempre all'insegna dei ragionamenti semplici.
Intanto ognuno fa solo il suo meglio, che non è mai tutto, ci mancherebbe. Io ho lavorato nelle reception degli alberghi, facevo accoglienza, ma a vendere camere se ne occupava un ufficio apposito. E fu meglio così, perché io il marketing non lo capivo proprio.
Poi ognuno ha il suo carattere, ci sono i timidi, gli estroversi e gli schivi, a cui appartengo anch'io, ma che secondo me non vuol dire necessariamente timidi. Siamo troppo abituati al confronto, come se gli altri fossero sempre meglio, il che non è per niente detto.
Il tuo collega è bravo a vendere i suoi libri, ma magari totalmente inetto ad affrontare certe situazioni di viaggio come quelle che racconti tu. E' bravo a parlare con la gente ma magari meno attento a certi altri aspetti relazionali. Tutto va quindi ridimensionato. E si può sempre imparare a fare meglio.
Io ce provo studiandomi dei piccoli piani d'azione, suonerà un po' come Paperino, ma funziona 😉
Complimenti, vorrei commentare: non sapevo che scrivessi dei libri. Tu almeno li hai scritti e pubblicati, io sono ancora qui che dico: ma come si scrive un libro? A proposito, hai una risposta?