Gang kirghise, ciarpame cinese, studenti indiani e tradimenti sovietici alle "pendici dei monti"
Lettere dall'Oriente - Bishkek, Kirghizistan
“La Russia ci ha colonizzati”, si lamenta una guardiasala del museo dedicato a Michail Frunze. Mi ha scambiata per una studentessa. “Di solito qui ci vengono solo gli studenti. Non ci sono altro che documenti.” È vero: le stanzette asfissianti del museo ospitano teche piene di carte, foto di Michail Frunze e un’ipotetica ricostruzione della sua casetta natale.
Ciao, sono Alessandra. Viaggio a tempo pieno e scrivo di viaggi lenti. Iscriviti gratuitamente per goderti i miei post da leggere con calma, prendendoti del tempo per te stessə in questo mondo frenetico.
“Stalin li ammazzava e poi dedicava loro una strada o una piazza”
Frunze fu anche il nome di Bishkek dal 1926 fino all’indipendenza del Kirghizistan (tutt’ora il codice aeroportuale di Bishkek è “FRU”). Michail Frunze nacque nel 1885 nella città di Pišpek – Bishkek, appunto – all'epoca un piccolo presidio dell'Impero Russo nel Turkestan. Figlio di un medico romeno e di una donna russa, trascorse la sua infanzia a Vernyj (oggi Almaty, in Kazakhstan) e nel 1904 si iscrisse all'Università Politecnica di San Pietroburgo. Durante la Rivoluzione di Febbraio del 1917, divenne capo della milizia civile a Minsk e fu eletto presidente del Soviet della Bielorussia. Successivamente si spostò a Mosca, dove guidò le Guardie Rosse durante l'occupazione del Cremlino nell'ottobre dello stesso anno. Tuttavia la sua missione più importante fu quella della liberazione del Turkestan, suo luogo d'origine, dalle forze dei Basmacci – gli abitanti dell’Asia Centrale che si ribellavano all’occupazione russa – e dall'Armata Bianca zarista.
Nel febbraio del 1920, riuscì a conquistare Khiva e in settembre prese Bukhara, ponendo fine al Khanato di Khiva e all'Emirato di Bukhara e istituendo la Repubblica Popolare del Khorezm (Corasmia).
Nel novembre del 1920, Frunze condusse con successo la riconquista della Crimea, scacciando il generale bianco Pëtr Vrangel' e le sue truppe dalla Russia. Riuscì inoltre a sconfiggere il movimento anarchico guidato da Nestor Machno in Ucraina e il movimento nazionalista di Symon Petliura. Tra i suoi successi militari vi fu anche la liberazione della valle di Fergana, all'epoca occupata da controrivoluzionari.
Nel 1921, fu eletto membro del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica e, nel gennaio del 1925, divenne Presidente del Consiglio Militare Rivoluzionario.
Frunze si trovò in contrasto con Stalin, che vedeva in lui un potenziale pretendente al potere. Fu la sua condanna: gli venne ordinato dal Politburo di sottoporsi a un'operazione chirurgica (subito dopo due strani incidenti stradali in cui perì l’autista). Frunze stesso morì il 31 ottobre 1925 per avvelenamento da cloroformio durante l’intervento allo stomaco. Ufficialmente si trattò di un incidente, ma molti storici ritengono che la sua morte fosse il risultato di una macchinazione di Stalin per eliminare un rivale politico. Non molto tempo dopo, i dottori che avevano preso parte alla chirurgia morirono misteriosamente e l’inchiesta non portò da nessuna parte. Frunze fu sepolto con tutti gli onori nella necropoli delle mura del Cremlino a Mosca e nel museo a lui dedicato c’è una mostra fotografica dedicata alla cerimonia funebre, con tanto di Stalin che presenziava.
“Stalin li ammazzava e poi dedicava loro una strada o una piazza. Frunze era così importante che gli dedicò una intera città”, dice Tiziano Terzani nel suo “Buonanotte, signor Lenin.”
Il colonialismo russo non è finito
“A scuola si studia solo in russo. A Bishkek c’è soltanto una scuola in kirghiso. I manuali di medicina, di legge, eccetera, anche quelli sono in russo.” Quando la Russia portò “la civiltà” e rese stanziali quei popoli nomadi che recitavano il mezzo milione di versi del Manas a memoria, da bravi colonialisti si sentirono in dovere di fondare scuole e università nel proprio idioma, mettendo così da parte la lingua locale. Avvenne lo stesso in tutte le altre quattordici Repubbliche Sovietiche. Il russo era la lingua della cultura, dello sviluppo, della politica. In ogni caso, agli studi superiori e alle carriere vi accedevano quasi solo i russi (o gli ucraini o i bielorussi, insomma, gli slavi), lasciando che i nomadi si struggessero nelle colture dei kolchoz ai quali erano stati assegnati, soffrendo dalla lontananza delle migrazioni e dei pascoli in quota.
“Io stessa parlo il kirghiso come una seconda lingua. I miei nonni lo sapevano, ma ormai lo si parla soltanto su in montagna.” La guardia sala è più bassa di me, con un bel viso mongolo che non invecchia nei suoi cinquanta anni. I nonni erano nati ben prima dell’arrivo dei bolscevichi. “Hanno cancellato tutta la nostra cultura. E anche oggi si impongono… io odio tutte le guerre, ma la Russia vuole solo prendere. Noi siamo un paese indipendente, ma parliamo russo. In verità, dipendiamo ancora dal loro gas.” Il Cremlino, mi spiega, non allenta la presa sul Kirghizistan: gli servono l’oro, il cotone, la carne, i minerali per le bombe. Le suona il cellulare: “è il direttore” e sguscia via. Mi sarebbe piaciuto chiacchierare ancora un po’.
Torno all’aperto, oggi fa più caldo di ieri, quando la città-utopia ci ha accolte con una fresca brezza. Lo scarico delle vecchie macchine fuori norma in Europa appesta l’aria. Oltre la città, dietro i fieri edifici sovietici in calcestruzzo e le distese di verde, spiccano i ghiacciai del Tian Shan, imponenti, vicini.
Si dice che il vecchio nome della città, Pishkek, significhi “alle pendici del monte.” Altri scherzano che la nuova denominazione Bishkek sia il modo di chiamare il paiolo per rimestare il latte di giumenta fermentato (kumis), lo stesso che consola le mogli quando i mariti sono via.
La Kirghisia e la libertà in Asia Centrale
Ripenso alla guardiasala e alla sua aperta critica al governo con una sconosciuta. Il Kirghizistan è l’unico paese dell’Asia centrale ad avere la libertà di stampa. In giro non si scorgono striscioni propagandistici né fotografie di politici. Fu persino istituito un parlamento che limita i poteri presidenziali, al contrario dei suoi vicini dove hanno imperversato e, in alcuni casi, imperversano tutt’ora le follie di dittatori megalomani. Il popolo, qui, ha rovesciato ben due presidenti negli ultimi trentatré anni. Il Kirghizistan è il paese più democratico dell’Asia Centrale, nonché il più libero per quanto riguarda la parola e l’economia. Il primo presidente, Askar Akaev, fu destituito quando venne fuori la sua enorme corruzione e le limitazioni alla libertà che stringevano sempre più il Kirghizistan. Ne parlo meglio nella lettera qui sotto.
Gang notturne e i tentacoli della Cina
Di contro, nonostante la sua aria bucolica, il Kirghizistan appare nelle statistiche come meno sicuro dei suoi vicini ed è sconsigliato camminare per la capitale di notte.
“Studio medicina qui. In India superare i test d’ingresso per medicina è quasi impossibile, bisogna essere eccellenti. Quindi molti di noi vengono a studiare nei Paesi dell’ex URSS. Fino allo scoppio della guerra frequentavo l’università in Ucraina.” Siamo al Metro Pub in via Chuy, è un giovedì sera e siamo gli unici avventori: io, Alessia e un ragazzo indiano. Prima di entrare ci hanno controllato le borse e requisito una bustina di Oki. Aman vive tra Bishkek e Almaty dopo essere scappato dall’Ucraina per inseguire il suo sogno di diventare medico. Odia il Kirghizistan: oltre a essere “musulmani” – e qui parte una scomoda filippica sulle differenze culturali – negli ultimi tempi delle gang di giovani kirghisi sono andati a caccia di immigrati, soprattutto indiani e pakistan per malmenarli nella notte. Le ambasciate dei paesi coinvolti hanno consigliato ai propri cittadini di rimanere in casa e Aman ha ricevuto tre pasti al giorno per una settimana direttamente nel proprio appartamento.
“Ce l’hanno con gli immigrati. Dicono che gli togliamo il lavoro.”
“Ma Bishkek è così tranquilla e tutti passeggiano sorridendo” mi ribello.
“Di giorno sì, ma non uscite mai di notte. Le gang se la prendono con gli stranieri.”
Non so se sia una coincidenza, ma ricordo di una rissa a cui ho assistito in Turchia, ad Antalya, l’anno scorso: un gruppo di cinque o sei kirghisi stava picchiando a sangue un giovane ucraino in seguito a banali insulti etnici.
In apparenza, a Bishkek la gente vive tranquilla. La sera i giardini Panfilov si animano di ragazzi e coppiette che mangiano zucchero filato o fanno un giro sulla ruota panoramica da cui si scorgono tutta la città, i palazzi brutalisti immersi nel verde, le larghe vie cementate nascoste dalle fronde.
La mattina, invece, il centro nevralgico è l’Osh Bazaar, un immenso mercato che ha perso tutta la sua aria mediorientale. Sì, sui banchi fanno bella mostra di sé diversi tipi di spezie, su altri noci, datteri e albicocche secche, e poi frutta fresca e quei grossi meloni tipici dell’Asia Centrale; c’è anche il reparto macelleria che emana odore di decomposizione fino in strada.
Uno potrebbe immaginare di essere appena approdato in un’oasi con la sua carovana, invece siamo nel terzo millennio e buona parte dell’Osh Bazaar è il trionfo del ciarpame cinese, che allunga i tentacoli sui vicini in una silente lotta economica. Insomma, nulla di esotico come uno potrebbe immaginare, se si escludono le ruote di pane. Larghi, decorati con motivi geometrici, colgono l’attenzione e il profumo stuzzica lo stomaco: è da provare insieme al chalap, lo yoghurt fermentato molto simile all’ayran turco. Ecco, questo spuntino vale le ore perse nella spazzatura di plastica cinese.
Lettere dall’Oriente è e sarà sempre gratuito. Ogni articolo è frutto di lunghe ore di scrittura, di studio e di revisione: gli daresti del valore e te ne sarei grata qualora decidessi di supportare questo piccolo progetto.